Quando nel marzo 2016 è uscito il primo lavoro solista di Francesco Motta La fine dei vent’anni, io stavo per iniziare i miei trenta.

In quel periodo cercavo di farmene una ragione. Di come le cose fossero andate diversamente. Non necessariamente peggio rispetto a come le avessi immaginate ma diversamente, quello sì. Di quanto non assomigliassi per niente all’immagine di me trentenne che mi ero creata in testa una decina d’anni prima. Di quanto il mio orizzonte fosse cambiato. Letteralmente.

Tutto questo per dire che se da un lato c’era la doverosa curiosità verso il nuovo lavoro di un polistrumentista con all’attivo due dischi (il primo in inglese e il secondo italiano) nati con la sua formazione precedente, i Criminal Jokers e collaborazioni con musicisti come Nada, Zen Circus, Giorgio Canali e Pan del Diavolo; dall’altro emergeva la verità ovvia e spietata riassunta dal titolo del disco – la fine dei vent’anni – che era per me il sotto testo costante di quelle giornate e che rendeva prioritario l’ascolto del progetto solista di Motta. Solo cognome.

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(Motta in una foto di Claudia Pajewski)

Compiere trentanni capita a molti ma sentivo il bisogno di un punto di vista esterno per metabolizzare la cosa perché, come ha detto Paul McCartney, “La musica è come uno psichiatra“.

Dal giorno di quel primo ascolto sono passati alcuni mesi. In una notte di luglio ho compiuto i fatidici trenta e la mattina dopo il sole è sorto comunque. A settembre Motta ha vinto il premio Tenco 2016 nella sezione “Opera prima”. Oggi continuo ad ascoltare La fine dei vent’anni perché è un bellissimo disco.

Motta ha la capacità di parlare di sé e degli altri. Traccia dopo traccia  La fine dei vent’anni si svela attraverso lo sguardo del cantautore e centra perfettamente il bersaglio: racconta quel momento lì e lo racconta bene.

In una recente intervista ha detto che l’ultima cosa alla quale pensava durante la stesura dei testi era di scrivere un album generazionale. Se ci è riuscito è perché, a prescindere dal vissuto di chi ascolta (anche se sulla penultima traccia Una Maternità mi si è azzerata la salivazione), le storie che racconta grazie alle sue canzoni arrivano con l’immediatezza di quel che è reale, vero.

E se questo lavoro ha avuto una lunga gestazione non possiamo che ringraziarlo: suoni, arrangiamenti e testi creano un ambiente, uno stato d’animo che percorre l’intero disco.

Nei quattro anni di lavorazione al suo esordio da solista Motta si è avvalso della preziosa collaborazione di Riccardo Sinigallia (produttore dell’album e coautore di alcuni brani) ed ha sperimentato, fatto e disfatto strutture, cercato possibilità diverse per arrivare ad eliminare il superfluo facendo emergere suoni vivi, potenti, contemporanei. Gli arrangiamenti traggono vantaggio dalle contaminazioni senza perdere originalità.

Ascoltare La fine dei Vent’anni è un po’ come essere a Roma, Londra e Agadez nello stesso momento.

La Fine dei Vent’anni

Label: Sugar Music http://www.sugarmusic.com/it

Management: WoodWorm http://www.woodworm-music.com/

Booking: Locusta http://www.locusta.net/


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