Maggie’s plan – La trama all’osso: la trentenne Maggie è single ma decide che è il momento di avere un figlio da crescere da sola. Inaspettatamente però si innamora di un uomo sposato, John, è ricambiata, sposa l’uomo, hanno una figlia, ma poi ad un certo punto per Maggie tutto va in crisi. Lo ama ancora? Decide di rispedirlo alla di lui ex moglie Georgette, escogita con lei un piano di cui John è all’oscuro. Ma naturalmente calcando la mano sugli eventi accade che…


Maggie’s plan di Rebecca Miller (ebbene sì, figlia di Arthur, nonché moglie di Daniel Day Lewis, mia nonna direbbe “piove sempre sul bagnato”) è un buon modo per passare una serata cinema-e-chiacchiera con le amiche, ma la sfida (auspicabile e che potrebbe riuscire) è quella di passare una buona serata cinema-e chiacchiere col fidanzato/marito/ amici, cioè intendo proprio persone di sesso maschile. Perché Maggie’s plan appartiene a quella categoria di “cose” che non attirano gli uomini, e che invece gli uomini dovrebbero, almeno per curiosità, vedere. Un po’ come quando i fidanzati, compagni, mariti, padri, fratelli, cugini e amici dicono “No, la Ferrante non la leggo, è un libro da femmine”, e invece cosa si perdono. Forse il paragone saga de L’ Amica Geniale – film della Miller è decisamente troppo (Ferrante divina), ma è una provocazione, per capirci insomma.

In giorni in cui qui in Italia la discussa e per me obbrobriosa campagna per il Fertility Day ha dominato sui social, non è male vedere un film leggero che punge, ironizza, satireggia sulla coppia, sulla famiglia, sulla genitorialità condivisa (e non solo e sempre della “mamma”), soprattutto qui sul suolo italico dove i figli rientrano nella sfera casa in fondo e la sfera casa è ovviamente dovere della donna e stop.

Al di là di accennate attualità o altre presunte profondità sociologiche o giù di lì – una parte di critica ironizzava sul fatto che fosse forse il primo film dove viene apertamente citato l’Elvis della filosofia Slavoj Žižek, quasi come personaggio-, Maggie’s plan è pur sempre una commedia, anzi è una commedia romantica, anzi no per essere precisi è: una nuova screwball comedy. Traducendo: “commedia come una palla di baseball lanciata in modo che si avvoltoli come una vite in aria e sia imprendibile”, termine molto tecnico per dire di una commedia in cui gli uomini stanno contro le donne, in cui le situazioni sono paradossali, in cui generalmente ci sono rotture delle coppie iniziali, innamoramenti e matrimoni vari.

E così va presa, come una cosa leggermente svitata. Ovvio che ci siano delle forzature nella trama, delle prevedibilità, ma fa niente. Ovvio che non sia un film-verità, ovvio che Manhattan e i suoi abitanti supercolti, non disoccupati, con contratti remunerativi e non a termine, siano lontani per noi trentenni e quarantenni italiani, ovvio che il modo in cui si vestono sia sempre incredibilmente coerente con l’ altro personaggio con cui dialogano in scena, che i capispalla siano di ottime materie prime e manifattura eccellente (ho un debole per la lana bellissima), con una palette colore sempre accordata, ovvio che gli appartamenti siano sempre così giusti-accoglienti-funzionali e pure cool e pure vagamente poetici. Ma non importa, tutto scorre benissimo, e queste sottolineature teatrali, un accenno di stilizzazione, non mi dispiacciono neanche un po’.

E poi ho aspettato trepidante di vedere questo lavoro per amore degli attori che ci recitano dentro: Greta Gerwig, Ethan Hawke, Julianne Moore, quindi i bravissimi secondari Maya Rudolph e Bill Hader. Insomma uno squadrone. Se volessi fare delle finezze, per far vedere che frequento un po’ questo tipo di cinema, si direbbe che la scelta degli attori non è affatto casuale e si colloca una sorta di vague americana fatta di eredi di Woody Allen, ma meno alleniani, sempre nevrotici, ma non così allenianamente, un’onda piacevole e riconosciuta dalla critica che va da Richard Linklater (dei cui film Ethan Hawke è da anni protagonista, tornate subito a vedere la trilogia Before, ad esempio l’ultimo capitolo Before Midnight, e tutto è chiaro, oppure Boyhood) a Noah Baumbach (per altro compagno di Greta Gerwig). Ma chissenefrega di queste note, vediamo semplicemente attori bravissimi, un piacere guardarli.

Ma soprattutto, questi attori vanno visti recitare nella loro lingua madre. Si rischia di perdere sfumature recitative che col doppiaggio, ciao!

Maggie Hardin (Greta Gerwig, che vi consiglio di guardare in Frances Ha) ha superato la trentina, o forse no, ha un buon lavoro – si occupa di aiutare giovani artisti a concretizzare idee spendibili in grandi aziende-, è single ma vuole tanto un figlio, vuole crescerlo da sola e ha deciso che è il momento. Quindi programma di autoinseminarsi facendosi donare dello sperma da un vecchio compagno di scuola, brillantissimo studente di matematica che ora ha rilevato l’azienda di famiglia: i migliori cetrioli sott’aceto in circolazione (manco a dirlo, la Gerwig ne consuma un barattolo gigante). Un giorno però Maggie Hardin nel centro dove lavora conosce, per un evidente equivoco nominale, John Harding: antropologo fictocritico (boh), docente e romanziere in crisi d’ ispirazione. L’equivoco è divertente e ai miei occhi strizza l’occhio già alla cosiddetta e ricercata “parità dei sessi”. Due mensilità di lui sono state accreditate a lei. Lui si arrabbia tantissimo ma flirta. Maggie è naturalmente attratta da Harding, e si capisce, perché Hawke da vecchio con tutte quelle rughe e rughette è bellissimo, anche se noi tutte guardandolo capiamo subito che dovrebbe starne alla larga: egocentrico, narciso, totalmente assorbito dal proprio ego artistico, e soprattutto sposato con due figli con Georgette – Julianne Moore – antropologa brillantissima e freddissima, donna tutta carriera che oscura il di lui talento.

E qui, in noi pubblico femminile scatta il seguente pensiero: “ma dai Maggie mica puoi innamorarti di lui che è evidente che ti farà diventare pazza, arriva prima il suo ego, no no no non farlo”, col retropensiero: “ma siete una coppia stupenda, dai forza fateci vedere che l’ amore trionfa e riusciamo a cambiare anche gli uomini più egotici e a vivere una vita perfetta”. Cosa possa balenare in mente al pubblico maschile in questo stesso momento del film non lo so, ma mi piacerebbe tanto chiacchierarne.

E proprio qui il grande tema/conflitto: come pensano e agiscono le donne e come pensano e agiscono gli uomini. Come queste modalità si scontrino, dando vita a infinite possibilità di coppie “sghembe”; cosa voglia dire “perfetto” e se sia un concetto così importante (ovviamente la perfezione non esiste ma tutti quanti ci sbattiamo la faccia contro, anche idealizzando), e infine, che coss’è l’ amor, domanda che l’ uomo (inteso proprio come essere umano stavolta) si pone da secoli, ben prima che Capossela lo cantasse. L’ amore cos’è?, l’amore è eterno?, l’amore basta?, l’amore mi basta? Anche nella routine, condito e attraversato dai sensi di colpa per avere/non avere fatto cose, avere/non avere soddisfatto le aspettative del partner? Anche quando sembra che l’ amore infastidisca o presenti delle insidie per il nostro percorso individuale di realizzazione personale (nella nostra generazione più che mai)? Se l’ amore finisce cade il velo e siamo solo ridicoli? Inciampiamo in queste domande molto spesso secondo me, certo ci fanno paura, ma non dobbiamo averne. L’ amore è un casino e la coppia di più. Ma è pure bello.

Maggie's plan

Maggie’s plan va leggero, eppure ci punzecchia e ci pungola di domandine scomode, il plot può essere scontato alla fine, ma ancora una volta, cosa importa se quel che succede era un po’ previsto, non è mica un film d’ azione.

E poi cosa succede? A me è successo di avere un piccolo sorriso con gli angoli amari stampato in faccia ed essere felice di avere visto 98 minuti piacevoli, che comunque mi hanno fatto pensare ad alcune dinamiche, tipo: voglio-avere-il-tempo-per-il-mio-lavoro-che-amo-però-voglio-che-tutto-sia-a-posto-come-dico-io-e-a-casa-e-nella-vita-di-coppia-e-io-sono-più-brava-a-fare-tutto-quindi-non-ti-concedo-nessuno-spazio-di-sbaglio-così-tu-poi-ti-accomodi-e-io-sclero-perché-devo-fare-tutto-io-e-ho-pure-il-mio-lavoro-che-così-non-riesco-a-fare-come-vorrei-e-figurati-che-non-abbiamo-nemmeno-dei-figli-tremo-all’-idea-e-comunque-voglio-essere-l’-artefice-del-mio-destino-io-io-e-solo-io-, quando forse ogni tanto considerare il fatto che nella coppia esiste un terreno comune e per definizione di tutti e due, dove ci si può incontrare e dialogare, non è male. E se ci si fa un po’ attenzione, si evitano poi forse derive che fanno il male sia degli uomini che delle donne. Uomini, guardatelo anche voi, potete concedervi questa leggerezza, e se pensate di perdere tempo, in fondo è quasi la durata di una partita.

 


Per l’ amico che ti chiede “ma dove li vedi tutti sti film non doppiati”, ecco dove indirizzarlo. Se poi vincere la pigrizia, quello è un altro discorso.

A Milano ci si può affidare alla rassegna di SpazioCinema Sound&Motion Pictures, nei cinema Anteo, Apollo, Arcobaleno e Mexico. Oppure alla programmazione interessantissima del gioiellino della città: il cinema Beltrade. se un film non è italiano, state certi che lo vedrete in lingua originale

A Roma si va al Fiamma, solo lingua originale sempre. oppure ogni tanto al Lux o all’Odeon, e ci si aggiorna qui.

A Firenze si possono trovare dei buoni titoli all’Odeon Cine Hall (programmazione pazzerella che annovera Herzog così come il nuovo BridgetJones)

E comunque, per i pigri dei pigri, abbiamo sempre lo streaming.

 

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