Questa sera molti di noi si accingeranno a festeggiare la vituperata Halloween, la festa per dimenticarci della festa in cui ci ricordiamo dei morti, la Giornata della Commemorazione dei Defunti, tra gli effluvi dell’alcol e i sexy travestimenti delle streghette.

Se da tempi remoti i nostri antenati celtici, precolombiani e pagani avevano ritenuto doveroso dedicare almeno una giornata all’anno ai morti, quello che facciamo noi, oggi e nella società occidentale, è cercare in ogni modo di non pensarci, non pensare alla morte.
Eppure, come si fa?
La morte fa parte della vita, ogni giorno, muoiono gli amici, i nonni e i genitori, i figli. Muoiono poco lontano da noi per le guerre, muoiono vicinissimi a noi per i terremoti, muoiono i nostri animali domestici e le nostre piante mal curate sui nostri terrazzi, e moriremo anche noi, questo è certo.
Non sembra un bel Buondì, eh?
Perché non abbiamo confidenza con la morte qui, è un pensiero che il più delle volte, quando si cerca di esternarlo, ci si becca un “non pensarci!”.
Eppure, eppure, la morte è una trasformazione, un cambiamento, e se ce lo dicono i Tarocchi, che quando esce la carta Morte non vuol dire che ti stanno per investire, ma che qualcosa sta per cambiare o terminare perché ne inizi una nuova, perché non prenderla come uno stimolo anziché come una pietra in testa? E ve lo dice una che ha almeno un attacco di panico al mese.
È un dato di fatto che ormai abbiamo vita su questa Terra e, a meno che non vogliate prendervela con chi vi ha messo al mondo, non ci rimane che darle un senso e onorarla, cercando il bright side; ché dalle ceneri risorge la fenice, le macerie diventano colline su cui giocano i bambini, le foglie secche creano terreno fertile, dal Terremoto del Belice è nata la città-museo all’aria aperta Gibellina, quando finisce una storia d’amore poi ne inizia una nuova, i capelli tagliati ricrescono e con la pasta avanzata ci si fa un’ottima frittata.

Allora questa sera, e domani, iniziamo col ragionare sulla nostra vita.
Se siamo a un punto mortoè da lì che possiamo avere nuovi inizi.
Epicuro diceva  “Quando ci siamo noi, non c’è la morte”, e allora ancora nulla è perduto. Anche nella peggiore malasorte, restiamo umani (nell’accezione positiva) e diamoci dentro.
Il nostro Leopardi, il gota del pessimismo, da un giovanile Pessimismo Storico (la Natura ci ha fatto felici, ma poi gli uomini rovinano tutto, infatti guarda quante guerre e miseria) era maturato in un Pessimismo Cosmico (beh, no, se siamo così è colpa della Natura, perché le malattie e la morte sono un’invenzione della Natura, te possino), e con la vecchiaia aveva trovato un barlume di speranza (che è l’ultima a morire): i grandi valori umani – la solidarietà, la pace, la fratellanza – sono l’unica possibilità di riscatto e liberazione dal dolore e dalla sofferenza.
Insomma, se non l’aveste ancora capito, noi siamo Pollyanne vere: siamo convinte che ciò che pensiamo essere la nostra fine può essere invece il vero inizio del cambiamento tanto atteso.

Cogliete l’opportunità del buio per aprire nuove porte in cerca di luce. E poi, già che avete fatto fatto trenta, fate anche trentuno e comportatevi bene secondo i valori del Leopardi in vecchiaia. Che con la saggezza dell’età non solo ci fa soffermare sui grandi valori che possono rendere migliori tutti noi, ma ci insegna anche una grande verità: una seconda possibilità non si nega a nessuno.
Buona giornata dei cambiamenti!

La foto in alto è una piastrella del Giardino dei Tarocchi di Niki de Saint Phalle, vicino a Capalbio. E l’ho fatta io.

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