Il noto marchio di abbigliamento sportivo Adidas ha collaborato con l’associazione ambientalista Parley for the Oceans e ha prodotto Ultra Boost Uncaged Parley, un modello di scarpe da corsa realizzate al 95% con plastica e reti illegali da pesca d’altura recuperate dall’organizzazione Sea Shepherd, nell’Oceano Indiano – nei pressi delle Maldive – e il 5% con altri materiali riciclati.
Le running saranno in vendita da metà novembre 2016 in edizione limitata di 7.000 esemplari.
Ma non abbiate timore di rimanere senza, ché siccome la plastica nell’oceano non è certo in estinzione, per il 2017 ne verranno fabbricate 1milione.

L’idea originale è venuta a Cyrill Gutsch un tedesco trapiantato a New York, designer che, dopo aver incontrato l’attivista di Greenpeace Paul Watson, si è dedicato con passione alla causa ambientalista con particolare sensibilità al tema dell’inquinamento degli oceani, fondando l’associazione di cui prima, Parley.
«Non basta appellarsi alla morale per risolvere la situazione. Bisogna proporre soluzioni accettabili da parte di gente abituata a ragionare in base a perdite e profitti» constata giustamente Gutsch. Da ottimo comunicatore e creativo, ha quindi creato una fibra tessile riciclata da plastica già esistente che fosse appetibile per i grossi marchi di abbigliamento e si è attivato alla grande.
La collaborazione con Adidas ha fin’ora generato le divise del Real Madrid e del Monaco, e l’avvio della produzione delle UltraBOOST, le scarpe eco-friendly.
Un perfetto esempio di economia circolare, sistema in cui il rifiuto diviene risorsa.*

(Kedongan beach, Jimbaran Bay, Kuta, Bali, Indonesia - Parley.tv) Bali's famous beaches have been swamped by a sea of plastic in the last 4 weeks. Photo Jason Childs Photo Credit-(c)Jason Childs

(Kedongan beach, Jimbaran Bay, Kuta, Bali, Indonesia – Parley.tv – Photo Jason ChildsPhoto Credit)

Perché va da sé che la plastica nell’oceano è un grosso problema nell’ecosistema marino e nell’ecosistema generale, che dove ti giri, è un disastro.
Va da sé anche che Adidas in passato non abbia brillato per il trattamento/sfruttamento riservato ai suoi lavoratori «una serie di fabbriche dove mancano i basilari diritti: i lavoratori sono sfruttati, lavorano fino a 65 ore la settimana per paghe da miseria, subiscono abusi verbali e fisici, sono costretti a fare straordinari anche non pagati e vengono puniti se non raggiungono gli obiettivi di produzione». Queste sono le parole scelte dalla reporter del The Independent Kathy Marks, in visita nel 2012 negli stabilimenti Adidas in Indonesia. 4.500 km dalle Maldive.

E ok. Noi non dimentichiamo, ma apprezziamo quello che una multinazionale propone se etico ed utile, se aiuta nella pulizia dei mari, se manda un messaggio propositivo, se riesce a far sua l’economia circolare.
È bene, perché quelle stesse scarpe da corsa sarebbero comunque state prodotte in plastica vergine.
È bene, perché con il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America negazionista, va incoraggiata ogni azione che mostra sensibilità all’aspetto ecologista.
Tra poco invece potremo acquistarle al (poco etico) prezzo di 200 $, che speriamo non siano state assemblate da un bambino costretto a lavorare 20 ore al giorno che se no è più etico rubarle.
Ma chi ama fare sport all’aria aperta e deve rinnovare l’attrezzatura, faccia un acquisto migliore e corra con il corrispettivo di 11 bottiglie di plastica ai piedi!

*e anche finalmente una scarpa “etica” che non sia orribile.

 

Share

No comments so far.

Lascia un commento