Il 25 novembre, oggi, è la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne.
Basterebbe la Giornata Contro la Violenza, ma l’argomento va specificato perché le donne di cui si parla sono spesso le mogli, le figlie, le fidanzate dell’uomo violento. Una violenza di genere, fatta di gerarchie e poteri. Che non significa solo omicidi e botte a sangue, si parla di violenza di genere anche per casi meno gravi, di squilibrio nella coppia, nelle tanto ironiche, secondo gli uomini, frasi come: “donna lava i piatti”, “donna, cucina”.
Che certo, vallo a spiegare a un uomo come ci sentiamo quando il nostro compito pare essere un dovere dato dall’alto. Dall’alto del fatto che guadagniamo meno, perché i nostri stipendi non sono mai equiparati, e dunque è ovvio che di pulire il bagno e lavare i pavimenti dobbiamo occuparcene noi.

Fino ad arrivare a scenari molto più cupi, quando quel ritaglio di mondo che dovrebbe essere il nido sicuro, diventa per molte un incubo quotidiano fatto di botte, soprusi, violenze verbali e psicologiche, e omicidi – 76 dall’inizio del 2016.

Solo il 6% circa delle donne che subiscono violenza, la denunciano. Le altre continuano a vivere nel terrore e nel silenzio, nei piatti lanciati contro il muro, nei calci dati alle porte, nelle sberle, nell’umiliazione. Esistono centri d’ascolto e di aiuto per donne maltrattate (qui trovate l’elenco per regione), ma curare dopo non è la soluzione.

Siamo cresciuti con Dei delitti e delle pene, saggio dell’illuminista Cesare Beccaria, e quindi crediamo nel potere dell’educazione e, se non basta delle rieducazione ed è dunque bene ricordarsi che non basta una giornata o una manifestazione a cambiare i comportamenti, ma bisogna educare, tutti. A partire dagli uomini.

È per questo che nel 2009 Alessandra Pauncz, psicologa e psicoterapeuta, ha fondato a Firenze, con sede anche a Ferrara e presto a Roma, il primo centro in Italia rivolto agli uomini maltrattanti, il Cam.
E gli uomini, un po’ indotti e un po’ per loro volontà, rispondono: “Dalle 9 richieste del 2009 si è passati alle 85 del 2015, e ai 66 del 2016 (dato al 30 settembre 2016), percorsi di ascolto quindi decuplicati. Dal 2009 al 30 settembre del 2016, hanno chiamato un totale di 454 uomini”, si legge in un comunicato del Centro.
Quello che fanno al Cam è un percorso che guida l’uomo nell’accettazione che “essere violenti” e “non essere violenti” non è una caratteristica genetica ma una scelta, che non è la donna che chiede di essere menata ogni sera, e che raramente la violenza domestica si ferma da sola.
Serve aiuto e assistenza, e al Cam lo danno: ”I nostri interventi, che dopo una serie di colloqui preliminari, si sviluppano in un lavoro in gruppi, a cadenza settimanale per una durata di circa un anno – hanno innanzitutto la funzione di interrompere il ciclo intergenerazionale della violenza ed aiutare gli uomini a mettere a fuoco i danni dell’abuso”.
Possono contattare il Cam uomini, donne, amici di uomini violenti e donne abusate, figli…

Non so come concludere sinceramente, se non invitandovi tutti indistintamente domani 26 novembre 2016 a scendere in piazza a Roma e nelle principali città per la manifestazione “Non una di meno“, che sarà un modo per stare insieme, per dire che a noi così non va, che siamo una forza solidale, per non lasciare sole le donne vittime di abusi, le loro famiglie.

Il giorno successivo, il 27 all’Università Sapienza si riuniranno invece circa 1200 donne, rappresentanti delle associazioni e dei collettivi e dei centri antiviolenza e attorno a una decina di tavoli tematici saranno loro in primis a dare il via ad un lungo percorso perché il cambiamento tocchi la cultura ma anche l’economia la politica la società intera.

“Convinto, anche in quanto maschio, di avere ragione”. Perché ragionamenti così, come questo tratto dall’intervista di Repubblica a un uomo in rieducazione al Cam, non devono essere più né formulati né accettati.

 

 

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