Good Girls Revolt, la trama all’osso: ispirato ad una storia vera, la serie prodotta da Amazon e ambientata nel 1969, racconta la storia delle donne che lavorano in un settimanale newyorkese e della loro rivolta quando il settimanale decide di far uscire un articolo sul movimento femminista senza interpellare su di esso nessuna di loro; infatti in quel periodo ad solo gli uomini erano assunti come giornalisti, mentre le donne erano segregate al ruolo di segretarie e assistenti.


Per gli affamati di serie tv come me c’è sempre un momento nel quale non si ha nulla da guardare che ci ispiri. Soprattutto in questo periodo di pause natalizie e di dipendenza da Netflix (Netflix, per chi non lo sapesse, mette tutti gli episodi in una botta sola così è pratica comune vedersi tutta la serie in due giorni e rimanene presto di nuovo a bocca asciutta).
L’altra sera, bighellonando tra i siti di streaming, mi sono imbattuta in Goog Girls Revolt, e nella sinossi sopra citata.
Vabbè…
Siamo in una redazione polverosa e fumosa di New York, è il 1969, la Guerra in Vietnam impazza in Vietnam, Nixon alla Casa Bianca, i Black Panters nelle strade, le gambe delle donne sotto le minigonne.
In questa redazione gli uomini, reporter, firmano gli articoli che le donne, ricercatrici, gli apparecchiano. Finché a una non viene il dubbio che non poter scrivere, non poter fare lo stesso lavoro dei colleghi maschi, essere pagate uno sputo, sia un’ingiustizia.
Questo accade nei primi 20 minuti dell’episodio pilot, da qui comincia un percorso fatto di prese di coscienza, minigonne, vagine, matrimoni, brandy, rotocalchi, spinelli e scoop.

La vita in redazione si presenta dinamica, appassionante, fervida, competitiva e maschilista. E già, nonostante il maschilismo, viene un po’ di invidia per quel fuoco dei giornalisti d’un tempo, per la ricerca della notizia, per “dobbiamo affossare il Times”, per quel periodo. Gente che fuma dappertutto, anche davanti ai bambini, il ticchettio delle macchine da scrivere, il rumore di quella specie di fax che avevano cinquanta anni fa, la carta da parati marrone.
E poi una cosa che mi piace tantissimo sono i riferimenti alla realtà storica, come quando arriva la notizia dalle agenzie di stampa che una bomba è scoppiata a Milano.*

ggr
A questo si agganciano le vite private al di fuori della redazione, e quando dico “private” intendo proprio private della vita: donne sposate che si rendono conto di essere in trappola, donne che si sposano e devono smettere di lavorare, donne che non si sono mai interessate alle proprie parti intime, donne che cominciano a interessarsi alla proprie parti intime, che tradiscono i mariti che non le supportano, che non si fanno mettere in trappola.
La colonna sonora è bella, dai Rolling Stone di apertura, a Bob Dylan, dai Black Sabbath al jazz.

E soprattutto c’è quella solidarietà tra donne (tutte piuttosto gnocche), quel sentimento di potenza che nasce quando non ci si sente più sole, quei germi di femminismo che sono ancora più coinvolgenti perché la serie è basata su una storia vera scritta dalla giornalista Lynn Povich che nel 1970, insieme ad altre donne, ha fatto causa al magazine nel quale lavorava per discriminazione sessuali, e cinque anni più tardi è diventata la prima senior editor donna di un settimanale.

Nel cast, almeno nelle prime tre puntate, c’è anche un abbronzatissimo Jim Belushi.

Guardate Good Girls Revolt, è molto bella. E va anche venir voglia di far tornare di moda gli stivali.
In Italia non è ancora uscita, dunque la trovate in inglese o in inglese con sottotitoli italiani, che comunque è meglio che in italiano.


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* La strage di Piazza Fontana, per chi non avesse capito.

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