Scollinare il Colle Oppio, arrivare davanti al Colosseo, girare a destra, circumnavigarlo, passare in mezzo ai Fori Imperiali e sbucare a piazza Venezia, io ogni volta che vado a lavorare rimango a bocca aperta davanti a tutta questa magnificenza.
Non so se è così perché sono a Roma solo da un anno, o se tutti i romani hanno quel tuffo al cuore ogni mattina, ma vivere in una città con tutte queste bellezze è un privilegio, calpestare le stesse pietre che calpestò Nerone, per dirne uno, anche. Mi succede sempre quando vado in un’altra città di pensare: “Ma loro (gli abitanti) lo sanno quanto è bella?”. Perché magari i parigini passano di fianco alla Tour Eiffel, ci buttano un occhio e intanto stanno pensando a cosa cucinare per cena, o magari gli ateniesi ogni volta che sollevano lo sguardo incappano nel Partenone ma in realtà stanno guardando se sono in arrivo nuvole cariche di pioggia.


Io cerco di farci caso sempre, anche a Milano, città nella quale sono orgogliosamente nata ma non straripante di monumentali glorie, ogni volta che passo da via Brisa, mi fermo a guardare le tre pietre che costituivano il Palazzo imperiale romano, e ci penso, penso che c’è gente che vive a Melzo e la mattina, quando non c’è nebbia, guarda il cinema multisala Arcadia.

Bisognerebbe dunque, secondo me, dedicare un ringraziamento al giorno per la fortuna di avere a un palmo di naso la cultura, la storia e la bellezza, che è un attimo, una bomba, un terremoto, che non c’è più.
Chissà quanti Colossei sono stati rasi al suolo, e chissà quante cose belle sono state costruite sulle loro macerie, e ci piacciono perché ci ricordano da dove veniamo e ci confermano la nostra identità. Un po’ come tutto il ciarpame che abbiamo in cantina, dal quale non ci vogliamo separare perché sono i ricordi preziosi.

Eppure penso anche a questo, che ci abituiamo alla bellezza ma sappiamo commuoverci e notare se in mezzo a una spianata di cemento cresce un filo d’erba, o se in un Aleppo distrutta, in una casa ridotta a detriti, un uomo ascolta della musica che esce dal grammofono.

(“Whenever I feel any kind of despair or surrender to [life’s] problems I will always recall this image,” AFP photographer Joseph Eid said AFP/Getty Images)

Certo, ad Aleppo non c’è più un tubo, millenni di storia sono stati spazzati via, ma è meno bella o ci insegna e comunica meno sensazioni se dentro ci mettiamo la storia delle persone?
Joseph Eid, fotografo dell’Atp, qualche giorno fa ha immortalato Mohammed Mohiedin Anis, 70enne siriano benestante, mentre seduto sul suo letto che non ha mai abbandonato, ascolta le note della sua musica preferita.
La sua casa era nella zona controllata dai ribelli e il grammofono, che non è alimentato da elettricità, gli ha tenuto compagnia durante questi sei anni di guerra. Il grammofono, la musica, rappresentano il suo filo per rimanere attaccato alla sua vita bella di prima, quando collezionava auto d’epoca e viaggiava per il mondo. A noi ci stringe il cuore guardare questa immagine, perché è un anziano e forse non avrà la possibilità di costrursi nuovi ricordi felici, ma noi che possiamo, facciamolo.

Ringraziamo sempre per la nostra storia passata, e costruiamone una nuova ancora migliore ogni giorno, che non sarà la mamma che fa le pulizie di primavera a farci scordare che siamo stati all’asilo.

 

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