“Si ha pietà di tuttimeno quelli che si annoiano. Eppure la noia è considerata una massima pena e comminata dal codice – il carcere.” Cesare Pavese

A me sembra incredibile, eppure un sacco di gente va ancora allo zoo.

Ci porta i figli, gli alunni, ci va per svagarsi, per trascorrere pomeriggi diversi dal solito. Gli zoo, io li trovo così crudeli, deprimenti, strazianti nella loro sadica inutilità. Ed è per questo che ho deciso di sostenere il progetto che stanno cercando di realizzare dei cari amici toscani: ZOOUT, il primo documentario sugli zoo italiani. Nell’ultimo anno Francesco Cortonesi, Leonora Pigliucci e Chiara Magpie hanno attraversato l’Italia allo scopo di visitare gli zoo più importanti del nostro Paese, con la volontà di dare voce agli animali che ogni giorno nascono e muoiono dentro le gabbie.

Decine di migliaia sono gli animali reclusi negli zoo italiani, di cui la maggior parte non appartiene a specie minacciate. Solo una minima percentuale delle specie a rischio è effettivamente coinvolta in progetti di conservazione. Il numero degli individui reintrodotti con successo nei propri habitat naturali del resto è storicamente trascurabile. ZoOut mette a fuoco le storie di chi è nato e cresciuto in gabbia, raccontando l’isolamento e l’aridità di un’esistenza privata di ogni stimolo. E’ la noia a prendere il sopravvento spegnendo quotidianamente la curiosità e la voglia di vivere.

La nascita di questo ambizioso reportage è innegabilmente legata alle sorti di uno fra questi luoghi: l’ormai ex zoo di Cavriglia (AR), smantellato grazie agli sforzi coraggiosi e tenaci proprio di Francesco, che è anche lui attivista per i diritti degli altri animali, oltre che sceneggiatore e insegnante.

Nato nella fine degli anni ’70 in onore di un partigiano sovietico morto nella Seconda Guerra Mondiale, lo zoo di Cavriglia era caduto nel dimenticatoio già da qualche tempo. Abbandonato ad un inesorabile decadimento, come i prigionieri reclusi al suo interno: fantasmi. Detenuti. Nel 1977, i primi ad arrivare dall’ex Unione Sovietica erano stati una coppia di orsi bruni, Bruno e Lisa. Deceduta lei, il compagno è rimasto solo fino allo scorso anno, quando finalmente si è liberato per sempre.

Bruno ha liberato anche tutte e tutti gli altri, perché è proprio grazie a lui che si è innescato il lungo processo che ha dato il via allo smantellamento dello zoo. Nonostante la grande pressione mediatica, gli animali non sono stati facili da liberare e trasferire. Il problema principale da affrontare è a monte: gli altri animali non sono proprietà di qualcuna o qualcuno, solo di sé stessi. O almeno così dovrebbe essere. Per gli ideatori, il progetto di cui vi sto raccontando è stato la naturale conseguenza di tale avventura. La strada per il cambiamento è molto tortuosa. Il documentario è già in fase di avanzamento ma c’è bisogno di spinte in più per poterlo concludere ed ottenerne la massima diffusione.

(L’orso Bruno, arrivato dalla Russia allo zoo di Cavriglia nel lontano 1977)

In effetti non sembra esserci un lieto fine alle storie raccontate in questo documentario. Eppure bisogna avere la forza di trovarlo. Perlomeno di cercarlo. La conoscenza genera consapevolezza e questo progetto potrà essere un’importante documento, una serie di testimonianze di enorme valore per svelare inganni celati con fin troppa bravura ed esperta ipocrisia. Inoltre, come spiegato nella pagina web dedicata al crowfunding, in ZOOUT alle storie di reclusione vengono contrapposte quelle di liberazione, i viaggi degli animali salvi verso i rifugi che li ospiteranno. Sono orgogliosa di dedicare ad uno di questi luoghi la maggior parte del mio tempo e delle mie energie. All’interno di essi si sperimentano esempi di coabitazione pacifica tra animali di diversa specie, con risultati così magnifici da sembrare quasi miracoli. Questa però è una storia che meriterà un #buondì tutto per sé, lo prometto!

 

La bella notizia, quella adatta per cominciare la giornata alla grande, è che quindi non abbiamo scuse: possiamo tutte e tutti fare qualcosa!

 

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