Nell’articolo precedente abbiamo ripercorso le tappe fondamentali che hanno portato alla nascita dell’Unione europea, ed abbiamo evidenziato i meccanismi di fondo che ne regolano il funzionamento (vai all’articolo). Nel presente articolo vedremo invece di quali poteri l’Unione dispone attualmente, a seguito della riorganizzazione operata dai suoi Stati membri nel 2007.

Oggi l’UE è un’organizzazione sovranazionale continuatrice della CE, che ha inglobato i compiti dell’organizzazione che la precedeva, e che ne ha assunti di nuovi. Secondo il modello con cui l’integrazione europea è proseguita a partire dagli anni Novanta, all’interno dell’UE il livello di integrazione degli Stati membri è variabile, in quanto è più stretto su alcuni argomenti, più blando su altri. Dunque l’UE non ha gli stessi poteri in ogni campo, ma i suoi poteri sono più o meno forti a seconda della materia di cui si tratta. Teniamo poi sempre presente che non tutti i Paesi membri partecipano a tutte le politiche dell’Unione.

Vediamo più da vicino i poteri dell’UE materia per materia.

Innanzitutto, è bene precisare che l’Unione fa solo ciò che gli Stati le danno il potere di fare, secondo le regole che essi hanno stabilito (principio di attribuzione). In altre parole, se gli Stati non attribuiscono un certo potere all’Unione, significa che in quel campo l’Unione non può agire, e gli Stati restano liberi di regolare quella materia ognuno per sé.

I poteri dell’Unione (in gergo tecnico, competenze) si dividono in tre gruppi principali: competenze esclusive, competenze concorrenti e competenze di sostegno.

Nelle materie di sua competenza esclusiva, è solo l’UE ad adottare le leggi; gli Stati membri non possiedono più poteri legislativi, dal momento che li hanno trasferiti all’Unione. I settori di competenza esclusiva dell’UE sono i seguenti:

  • la concorrenza tra imprese. Per esempio, le leggi adottate dall’UE fanno in modo che sul mercato europeo possano lavorare solo imprese sane che agiscono correttamente, pertanto vietano che le imprese più grandi possano accordarsi per mettere fuori gioco quelle più piccole (si tratta della cosiddetta normativa antitrust), oppure vietano agli Stati di aiutare economicamente quelle imprese che non hanno speranze realistiche di sopravvivere e di continuare a offrire posti di lavoro, ecc. (divieto di aiuti di Stato);
  • la politica monetaria (per i Paesi la cui moneta è l’euro);
  • l’unione doganale e la politica commerciale. Le leggi adottate dall’UE fanno in modo che il territorio dei Paesi membri funzioni come un’area commerciale unica, senza dazi alle frontiere tra Stati membri, e con un solo sistema uniforme di dazi sulle importazioni dai Paesi non UE. È inoltre l’UE a gestire tutte le questioni commerciali a nome degli Stati membri, come ad esempio la negoziazione di accordi commerciali con Paesi non UE;
  • le politiche di conservazione della biodiversità marina. Le leggi adottate dall’UE fanno in modo che la pesca sia sostenibile, sia sotto il profilo economico, sia sotto quello ambientale: va garantito il lavoro ai pescatori, ma bisogna porre fine alla pesca eccessiva per evitare di far estinguere le specie ittiche. Il caso delle vongole dell’Adriatico su cui tanto si è detto verte proprio su questo punto: se si permette ai pescatori italiani di pescare vongole con un diametro inferiore ai 25 mm, alla lunga si metterà a rischio l’intera specie.

Nelle materie di sua competenza esclusiva, solo l’Unione può concludere trattati internazionali (accordi con Stati non UE o con altre organizzazioni internazionali).

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(Bruxelles, Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea)

Anche nelle materie concorrenti l’UE può emanare leggi uguali per tutti gli Stati membri, ma se l’Unione non esercita questo potere, gli Stati membri restano liberi di adottare leggi proprie. In realtà l’Unione può agire nei settori concorrenti solamente se un suo intervento risulta più efficace rispetto al fatto che ciascuno Stato membro agisca per suo conto (principio di sussidiarietà). In pratica, l’UE pone degli obiettivi da raggiungere, ma se gli Stati non agiscono in quella direzione, l’Unione si riserva di intervenire direttamente. Le principali materie a competenza concorrente sono:

Nelle materie in cui esercita competenze di sostegno, l’Unione può appunto solamente sostenere, coordinare o completare l’azione dei Paesi membri. L’UE non ha poteri legislativi in questi settori, e gli Stati membri possono agire come meglio credono. Le principali competenze di sostegno riguardano:

L’Unione ha anche alcune competenze particolari, per fare in modo che i Paesi membri coordinino alcune loro politiche, come quelle relative al lavoro e all’occupazione.

La politica estera, infine, rimane ancora oggi un argomento a parte, in cui la collaborazione tra i Paesi membri si è intensificata rispetto al passato, ma gli Stati mantengono in materia un’autonomia molto forte, e l’UE non può adottare atti legislativi in materia.

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(Strasburgo, sede del Parlamento europeo)

Nelle righe precedenti abbiamo tracciato per sommi capi l’evoluzione del processo di integrazione europea, arrivando a descrivere i poteri di cui l’Unione dispone oggi. Il quadro che emerge non deve piacerci per forza. In effetti, l’Ue ha molti poteri su alcuni versanti e pochissimi su altri, e a volte ci dà l’impressione di spendere tante energie (e tanti soldi) laddove magari non ce ne sarebbe così bisogno, mentre non riesce a intervenire su questioni più urgenti. Ciò può risultare irritante, ma non dobbiamo dimenticare che questo stato di cose non è immutabile. Sono infatti gli Stati membri ad aver scelto le regole di funzionamento dell’Unione europea, quindi questi stessi Stati (così come le hanno determinate) possono cambiarle, tornando al tavolo delle trattative e concludendo nuovi accordi che modifichino le regole attualmente in vigore.

Del resto è proprio in questo modo che si è sviluppata l’intera storia dell’integrazione europea: a partire dalla firma dei trattati istitutivi del 1957 (i trattati di Roma, perché è in Italia che tutto ha avuto inizio), con cui è nata la CEE, ci si è periodicamente rimessi intorno a un tavolo, e si sono adottati nuovi trattati, che sono andati a modificare, integrare, aggiornare, ampliare i precedenti, sulla base delle nuove esigenze, sulla base dei cambiamenti del mondo. Non è mai stato facile, e di certo non lo sarebbe neanche ora. Ma se esiste la volontà politica, lo si può fare anche questa volta.

Siamo dunque liberi di pensare che l’UE così com’è non ci vada bene, che andrebbe cambiata, che si dovrebbe fare di più. Siamo persino liberi di ritenere che l’integrazione in sé e per sé non sia poi così vantaggiosa, e che per gli Stati sarebbe meglio rimanere sovrani e indipendenti. Ognuno di noi (che sia un comune cittadino, un cronista, un politico, un esperto del settore) è libero di pensarla come vuole. Ciò che però nessuno dovrebbe sentirsi libero di fare è raccontare le cose diverse da quello che sono, per convenienza, per opportunismo, per ignoranza. Se davvero si vogliono risolvere i numerosissimi problemi che affliggono l’UE, bisogna approcciarsi alla questione con onestà intellettuale, altrimenti non solo è inutile, ma è anche dannoso.

L’Europa può e deve migliorare. Se davvero lo desiderano, i suoi Stati membri hanno gli strumenti per agire in tal senso.

A dire il vero, anche noi possiamo fare molto. Ad esempio, alle prossime elezioni potremmo scegliere i partiti da votare sulla base della loro idea di Europa, sulla base delle loro proposte concrete di riforma dell’UE, perché saranno questi partiti, una volta al governo, a decidere che direzione dare all’Unione, non mago Merlino.

Per chi fosse interessato a capirci qualcosa in più, nel prossimo articolo parleremo degli organi dell’UE (Parlamento, Consiglio, Commissione, ecc.), e spiegheremo come vengono prese le decisioni all’interno dell’Unione.

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