Tra novembre e dicembre ho fatto due esperienze teatrali differenti ma ugualmente belle e ciascuna a proprio modo “magica”, una a Parigi, una a Milano. Volevo parlarne prima, poi il pre-Natale, poi il Natale, bla bla, i ritmi frenetici etc et.

Torno a parlarne ora, perché volevo lasciarne comunque un segno qui e perché ta-dan per chi fosse a Parigi si verifica la fortunata congiuntura di poter vedere entrambi gli spettacoli. Per chi non vivesse a Parigi o per qualche motivo si trovasse già lì suggerisco una bella esperienza di turismo teatrale. Per molti potrebbe essere almeno una cosa nuova di cui si parlava qui.

Normalmente su Pollyanna parlo di cinema o di serie tv. Però quando c’è qualcosa per cui vale tantissimo la pena, bisogna fare un’eccezione alla regola autoimposta (parlare pochissimo di teatro nel mio caso). Sono uscita dalla Cartoucherie a Parigi e dalla sala di Via Rovello a Milano commossa, traboccante, in subbuglio, ribollente come un pentolino di sugo e grata, tanto.

Poiché l’universo web ha leggi precise mi dicono, prima di dilungarmi-sinteticamente ecco i due appuntamenti che andrò ad elogiare, e cosa sono “all’osso”.

Une chambre en Inde, ultimo spettacolo del Théâtre du Soleil, diretto da Ariane Mnouchkine, con gli attori del Théâtre du Soleil, alla Cartoucherie c/o il Theatre du Soleil . Dal 5 novembre 2016 al 30 aprile 2017. Attraverso l’espediente metateatrale, Ariane Mnouchkine descrive la propria difficoltà e le proprie domande sul fare teatro ora, in questi tempi così segnati dal terrorismo e dalla crisi dell’Occidente. Leggendo il titolo, tradotto in Italiano Una camera in India uno pensa di andare a vedere un qualche “pippone” vagamente retorico sull’India e la sua potenza spirituale, e invece..

Elvira (Elvire, Louis Jouvet 40), traduzione di Giuseppe Montesano, regia di Toni Servillo, con Toni Servillo e Petra Valentini, all’ Athènée Theatre Louis Jouvet. Dal 12 al 21 gennaio 2017. Servillo qui in duplice veste di protagonista e regista mette in scena le lezioni pubbliche tenute a Parigi tra il 1939 e il 1940 (all’indomani dell’annuncio della seconda guerra mondiale) da Louis Jouvet, stenografate da Brigitte Jacques. Le lezioni riguardano un brano del  monologo di Donna Elvira nel Don Giovanni di Molière. Jouvet, regista e pedagogo non da tregua alla giovane allieva Claudia (nella verità storica la giovane attrice di origine ebraica Paula Dehelly) per raggiungere “la verità del personaggio”, e con essa la verità del sentimento. Un testo sul teatro, sulla vocazione e sulla passione teatrale. A suo tempo messo in scena e interpretato da Giorgio Strehler nel ruolo di Jouvet regista e maestro con Giulia Lazzarini. Ecco, uno pensa che sia solo per addetti ai lavori e in effetti letteralmente lo è, ma se ci si lascia andare e si guarda più in là si scopre che invece..

 

Che sono due spettacoli molto diversi l’ho già detto. Per tanti motivi. Anzi sono quasi agli antipodi: il numero di attori in scena (massimo quattro vs più di trenta), la drammaturgia di partenza, l’estetica, il registro…e potrei andare avanti.

Però sorprendentemente parlano entrambi del senso del teatro, del valore del teatro, del perché fare teatro, e di conseguenza andare, perché il teatro si fa per raccontare qualcosa a qualcuno, io credo. Di questi tempi, domanda non stupida, necessaria. Quindi: è stato bello vedere che anche i grandi si interrogano. E ancora più bello vedere che si interrogano con onestà. Da qualche parte nei suoi appunti dice Cechov:

Mai si deve mentire. L’arte ha questo di particolarmente grande: non tollera la menzogna. Si può mentire in amore, in politica, in medicina: si può ingannare la gente, persino Dio; ma nell’arte non si può mentire.

Toni Servillo lo conoscono tutti, da quando Paolo Sorrentino lo ha consacrato nel suo cinema, impalmandolo poi con l’Oscar de La grande bellezza. Quello che meno si sa è che da sempre Servillo stava sul palco, e che prima di essere un notissimo attore di cinema – quella battuta di un po’ di tempo fa “per fare un film d’autore ci vogliono Toni Servillo, Alba Rohrwacher e Elio Germano, con una maschera di Toni Servillo” la sanno quasi tutti – Servillo è soprattutto un uomo di teatro. Non solo attore, ma uomo di teatro, grande differenza.

Ariane Mnouchkine ai più in Italia è meno nota di Servillo, ma notissima in Francia e ai teatranti. Una degli ultimi grandissimi registi teatrali viventi (per me sull’ Olimpo assieme a Peter Brook), le auguriamo ancora lunga vita. Come il “collega” Brook, è famosa per aver creato un proprio teatro – il Théâtre du Soleil all’ interno del complesso della Cartoucherie a Parigi – e per avergli impresso una inconfondibile direzione artistica segnata da un concetto fortissimo di ensemble teatrale e di teatro di impegno politico, dall’idea di creazione collettiva e di predilezione per il gioco teatrale puro e dalla sperimentazione sia su testi classici che su scritture originali. Lo spirito del suo teatro si coglie già nel foyer che cambia nello stile a seconda dello spettacolo rappresentato. Se non ci siete mai stati, vale la pena anche di fare solo una “banale” visita.

In entrambi i casi, prima di vedere lo spettacolo sentivo in me una grande curiosità con un paracadute di difesa emotiva che mi diceva: sì, sarà bello, non può non essere bello ma difficilmente sarà tanto emozionante. E perché? Perché ci sarà un po’ troppo ego (e della regista francese e del nostro compatriota attore).

Sono stata smentita, alla grande. Presenza, presa di posizione, ma non sproposito di ego. Impegno, interrogativi, mai supponenza.

Che bello vedere Ariane Monouchkine chiedersi che senso ha il teatro alla luce di tutto quello che leggiamo sui giornali. E se conti qualcosa dedicarsi ad esso. Che emozione, e che spunto di riflessione vedere una regista di 78 anni fare uno spettacolo come se ne avesse quaranta, cioè operare dichiarando i propri dubbi e le proprie debolezze.

Che bello vedere Toni Servillo e riscoprirlo tutto intero nel suo corpo, non solo nel primo piano!, e vederlo flessibile, preciso, vibrante, emozionato, preciso, felpato e potente come un leone. Che bello poter dire che dietro la sua scelta del testo non ci sta una scelta narcisistica (certo, lui emerge fortissimo, ma poteva essere poco diversamente) ma  qualcosa che si colloca nella scia della domanda di cui parlo da righe e righe, e cioè: dedico la mia vita al mondo del teatro, cos’ è questo mondo, come si colloca questo mondo con quello reale? In fondo avrebbe potuto scegliere anche altro per far vedere la sua indiscussa bravura.

Ecco, se devo dirla tutta la regia di Elvira non è proprio il punto forte dello spettacolo. Ma dico anche chissenefrega, allo spettatore arrivano cose ben più importanti: le domande, le emozioni, lo sforzo degli attori pre creare qualcosa, il bellissimo testo di Jouvet.

Se devo dirla tutta la regia di Une chambre en Inde è incredibile. Tanto semplice la struttura tanto raffinata la regia. Spreco ancora qualche riga per il meraviglioso spettacolo di Ariane Mnouchkine, pur essendomi ripromessa di essere brevissima, perché il succo è: andate, è un lavoro importante, e vi farà bene, al cuore, alla testa. (E farà benissimo a chi questo lavoro lo fa). Ariane, e così la chiamo amichevolmente perché questa è la distanza che lei pone, se andrete la incontrerete a strappare i biglietti, non ha avuto paura di essere semplice, e di parlare di sé e del suo teatro in prima persona. Ha avuto il coraggio di ammettere il caos, di non sapere cosa dire in tempi dell’opinione pronta su Facebook, e di lasciare spazio alle proprie emozioni, contrastanti, e alle proprie riflessioni che fanno acqua. Questa la forza.

(decorazioni a tema nel foyer del teatro)

Mi potrei dilungare, dicendo che lo spettacolo ha in sé anche parti rappresentate secondo i canoni del teatro indiano popolare, perché tutta la riflessione parte proprio in India mentre la compagnia si trovava a studiare il Thera Koothu o Terukkutu venendo poi raggiunta dalla notizia degli attentati del 13 novembre 2015che alcune immagini sono un vero pugno nello stomaco, che le luci sono perfette, che la musica dal vivo è eccezionale, che dura 4 ore senza mai sentirle..

Dirò invece più che del contenuto, della cornice in cui si è svolto tutto. Io e una mia amica italiana espatriata a Parigi siamo andate alla Cartoucherie senza la certezza di entrare, perché si trattava di una prima, molto ambita. Lì arrivate capiamo che non si tratta di una vera prima, rimandata (decisione del giorno stesso), ma della prima prova generale filata. Pare non ci sia posto, ma dicendo in biglietteria che ci avevano indicato di andare lì tre ore prima e avendolo fatto, abbiamo la possibilità di accedere al biglietto, che fortuna!. Essendo una generale, la recita è gratuita e veniamo invitate a scegliere il posto che vogliamo in un tabellone gigante sul muro del teatro, prendiamo il bigliettino, dopo qualche tempo veniamo accolte nel foyer, dove Ariane strappa i biglietti e saluta. Da nessuna parte nessun foglio di sala o locandina. Chi vuole può rifocillarsi con cibo e bevande indiane. Senza disturbare possiamo assistere alla preparazione degli attori, perché solo dei teli ci separano da loro. Inizia lo spettacolo. Ariane dice che è la prima prova filata e pertanto darà indicazioni col microfono agli attori, se ce ne sarà bisogno. Lo spettacolo inizia. Mnouchkine interviene tre scarse volte. Pausa. Lo spettacolo riprende. Emozione. 20 minuti di applausi. Ariane e gli attori ringraziano il pubblico che è stato con loro e ha testimoniato la prova di questa creazione. Usciamo. Compare nel foyer un tableau, dove oltre ai crediti, al ruolo degli attori troviamo questa frase.

Le spectacle à été crée le jour 5 novembre, Théatre du Soleil, Cartoucherie, Paris.

Lo spettacolo è stato creato il giorno 5 novembre, Theatre du Soleil, Cartoucherie, Paris.

Non alle prove, non prima. Con il pubblico, grazie al pubblico, per il pubblico e quindi per tutti. Ecco cosa fa il teatro a volte. Gratitudine.

(pubblico che spia la preparazione degli attori)

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