La prima Social Street è nata in Italia a Bologna nel 2013. Oggi se ne contano ben 450 in tutto il mondo con migliaia di iscritti (dal Brasile alla Nuova Zelanda).

Cosa sono? Un buon vicinato 2.0 che esiste solo in assenza di secondi fini: niente fondazione di associazioni, il pagamento di quote annuali, la creazione di siti o piattaforme dedicate. Il tutto parte dall’apertura di una pagina o di un gruppo su Facebook. A costo zero. Il principio fondamentale delle Social Street è la socialità fine a se stessa: gratuita, libera e spontanea. La socialità di un tempo, quella di cinquant’anni fa quando nelle case non c’era la televisione e i vicini si conoscevano tutti, si scambiavano favori, si aiutavano l’un l’altro e alla sera scendevano in strada per chiacchierare.

La prima Social Street è stata quella di Via Fondazza a Bologna, in centro storico nata nel settembre 2013 da un’idea di Federico Bastiani che, dopo anni passati in quella via, rendendosi conto che non conosceva nessuno dei suoi vicini ha deciso di cambiare le cose. Ha aperto una pagina Facebook e ha messo volantini per strada invitando le persone a iscriversi.  Nel giro di pochi mesi gli iscritti erano già centinaia, adesso gli iscritti sono 1300 su 1500 residenti.

Un’idea semplice che si è infatti riprodotta velocemente, del resto a chi non piacerebbe ritrovare un po’ di senso della comunità dove tutti si danno una mano?

Le Social Street promuovono l’inclusione sociale. «Nella Social Street – ha spiegato Luigi Nardacchione, coordinatore della Social Street di via Fogazza in un’intervista – si smette di ragionare per categorie separate (famiglie, studenti, immigrati, giovani, anziani) e ci si sente parte di una sola comunità, per quanto piccola possa essere. Se, ad esempio, ho un elettrodomestico che non uso più, chiedo ai vicini se serve a loro invece di pagare commissioni online. Se vado dal fornaio o in farmacia, prendo il pane e le medicine anche per l’anziano che abita all’ultimo piano. In questo modo, la qualità della vita migliora per tutti».

Attenzione però ad associare a una Social Street la parola sharing economy, perché di economia non ne vogliono sapere.  La condivisione dei bisogni e la capacità di tornare a condividere un pezzo di territorio, stimolando i rapporti di buon vicinato, riconoscendo le persone e prevedendo la possibilità di dare un aiuto ai vicini, questa è l’economia secondo una Social Street. «Non è quella delle banche del tempo – dicono – non è Uber, non è la gig economy, uno dei pilastri è la gratuità, insieme alla conoscenza delle persone e delle loro necessità e anche alla capacità di chiedere alle persone un aiuto. In tutto questo può esserci una ricaduta economica, ma non mettiamo al centro l’economia, mettiamo al centro le persone».

Ti piacerebbe creare una nuova Social Street? Per creare o aderire ad una Social Street non c’è bisogno di nulla (soldi, autorizzazioni, convenzioni, permessi, ecc.): se hai voglia di dare vita a rapporti di buon vicinato lo fai, punto e basta. Chiunque creda nel progetto e si riconosca nei tre principi fondamentali delle Social Street (socialità, gratuità e inclusione) può usare nome e logo.  Per saperne di più si può visitare il  sito “ufficiale” con le informazioni dettagliate sul progetto e l’elenco aggiornato delle comunità – e la pagina Fb “Social Street International” con le notizie dalle varie Social Street.

Il cambiamento che desideri può iniziare anche da sotto casa. Usciamo e incontriamoci.

 

 

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