A tutte le donne
di Alda Merini


Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso
sei un granello di colpa
anche agli occhi di Dio
malgrado le tue sante guerre
per l’emancipazione.
Spaccarono la tua bellezza
e rimane uno scheletro d’amore
che però grida ancora vendetta
e soltanto tu riesci
ancora a piangere,
poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,
poi ti volti e non sai ancora dire
e taci meravigliata
e allora diventi grande come la terra
e innalzi il tuo canto d’amore.

 

Tra due giorni è l’8 marzo, universalmente riconosciuto come la Giornata internazionale della donna, nell’immaginario collettivo celebrata a botte di mimose e spogliarelli e di donne che vanno a cena solo tra donne e poi si ubriacano. Che se non avete occasione di uscire con le vostre amiche in altra data, chiedetevi perché.

E quest’anno in effetti la presa di coscienza è stata massiva. Dalle ceneri del femminismo degli anni ’60 e ’70, il movimento ha rialzato la testa qualche anno fa grazie a Berlusconi che, offendendo quotidianamente il genere, ha fatto sì che il 13 febbraio 2011 le donne di tutta Italia scendessero in piazza con l’esasperato appello Se non ora, quando.
Eravamo in tante a sventolare le sciarpe bianche contro un Presidente del Consiglio arrapato e maschilista da stabilire nel suo ventennio di scandali e bunga bunga “un modello di relazione tra donne e uomini, ostentato da una delle massime cariche dello Stato, che incide profondamente negli stili di vita e nella cultura nazionale, legittimando comportamenti lesivi della dignità delle donne e delle istituzioni”.

Quel magico 2011 ci aveva fatto ben sperare, ma SNOQ ebbe le sue divergenze e l’ondata nazionale di affievolì. Anche perché poco dopo finì anche Berlusconi.

Pensavamo poi che con il Cavaliere ai lavori sociali le questioni delle donne sarebbero migliorate?
Ovviamente no, però da quel momento abbiamo potuto concentrarci sul resto dello squallido panorama che avevamo e abbiamo intorno: la violenza fisica, i femminicidi, la violenza sul lavoro, gli abusi psicologici, i trattamenti impari, i trattamenti ancora più impari destinati alle migranti e alle donne straniere, gli obiettori di coscienza e la difficoltà/impossibilità di poter decidere del proprio corpo.

E così ci siamo ritrovate a quasi sei anni di distanza di nuovo unite in corteo a Roma il 26 novembre 2016, e ai tavoli di lavoro il giorno dopo. Non Una di Meno, è questa la richiesta e il nome del movimento nato in Argentina e vascolarizzato sin da noi.
Da quell’incontro sono nate iniziative, comitati e collettivi che discutendo, interrogandosi e analizzandosi ci portano a dopodomani, il giorno in cui in 40 paesi del mondo le donne sciopereranno: in Italia Non Una di Meno ha proposto a tutte le organizzazioni sindacali, sia del settore pubblico che privato, le lavoratrici autonome e precarie, uno sciopero di 24 ore, perché “Se le nostre vite non valgono, non produciamo.

Come scioperare ve lo spiegano bene sul loro sito, perché scioperare anche, in 8 punti:

  1. La risposta alla violenza è l’autonomia delle donne
  2. Senza effettività dei diritti non c’è giustizia né libertà per le donne
  3. Sui nostri corpi, sulla nostra salute e sul nostro piacere decidiamo noi
  4. Se le nostre vite non valgono, scioperiamo!
  5. Vogliamo essere libere di muoverci e di restare. Contro ogni frontiera: permesso, asilo, diritti, cittadinanza e ius soli
  6. Vogliamo distruggere la cultura della violenza attraverso la formazione
  7. Vogliamo fare spazio ai femminismi
  8. Rifiutiamo i linguaggi sessisti e misogini.

 

Per questa sera vi consiglio invece, per entrare bene nel clima, la visione di qualcosa tra:

Vogliamo anche le rose – di Alina Marazzi. Un documentario sulle lotte femministe degli anni ’70.
Suffragette – di Sarah Gavron. Un film con Meryl Streep sul movimento suffragista femminile del Regno Unito.
Good Girls Revolt – Serie tv Amazon sulla rivolta delle donne lavoratrici in una redazione di un settimanale negli anni ’70.

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