È stato bello leggere i vostri racconti in queste settimane in cui sia io che Tieta ci siamo prese una pausa dalla scrittura.

Non è che leggessi solo quelli però eh, e di cose in questi giorni ne sono successe. Cose su cui mi sarebbe anche piaciuto scrivere qualche riga, ma proprio non sono riuscita a trovare il tempo adatto. Ma adesso il tempo è tornato e dunque ecco qui, in breve, cosa mi è frullato per la mente in queste settimane di silenzio:

  1. Gabriele Del Grande. Gabriele che per fortuna adesso è libero. Libero come dovrebbero essere le altre centinaia di giornalisti e non rinchiusi nelle carceri turche. Che tristezza mi hanno fatto le critiche al suo lavoro, alle sue idee. E non perché molte le condivido o perché consiglierei a tutti di prendersi due ore del proprio tempo per vedere Io sto con la sposa. Avrei chiesto a gran voce la sua liberazione anche se non avessi condiviso neanche una briciola delle sue convizioni. E così avrebbero dovuto fare tutti, senza cercare di mitizzare o sporcare la sua immagine. Avrebbe dovuto essere semplice scegliere da che parte stare. Per fortuna però per la maggior parte delle persone che conosco è stato così.
  2. Kathrine Switzer. Cinquant’anni fa Kathrine Switzer era una ragazza di 20 anni, un’universitaria, che voleva fare una cosa che le era vietata: partecipare alla maratona di Boston, perché le maratone erano una cosa per soli uomini. Per iscriversi usò solo le iniziali del suo nome K.V. Switzer e così ottenne la pettorina 261. Verso la fine dalla maratona, al 39° chilometro, quando fu notata, un giudice provò a bloccarla e solo grazie all’aiuto del suo fidanzato di allora riuscì a neutralizzare il giudice. Terminò la corsa, ma fu squalificata. Le immagini del giudice che cerca di bloccarla diventarono un simbolo per la parità dei diritti. 5 anni dopo la maratona di Boston consentì l’iscrizione alle donne e nel 1984 la maratona femminile è diventata sport olimpico. Questo aprile Kathrine Switzer, 70 anni, ha partecipato di nuovo alla maratona di Boston. Come 50 anni prima l’ha conclusa e come 50 anni prima ha indossato la pettorina 261. Pettorina che gli organizzatori hanno deciso di ritirare. Una storia che non conoscevo che mi ha emozionato.
  3. 25 aprile. Vi avrei attaccato un pippone telematico su come il 25 aprile sia la festa più bella che abbiamo. Oggi ve lo risparmio e uso una poesia di Ungaretti sperando che abbiate reso il giusto onore a questo giorno e che teniate sempre gli occhi aperti alla luce.

Qui
vivono per sempre
gli occhi che furono chiusi alla luce
perché tutti
li avessero aperti
per sempre
alla luce.

4. Ong e migranti. La campagna di diffamazione contro le Ong che svolgono azioni di ricerca e salvataggio in alto mare, tra la Libia e la Sicilia, sostituendo l’Unione Europea in quello che dovrebbe essere un obbligo morale degli Stati, oltre che un obbligo di legge, ha raggiunto livelli insopportabili. Almeno per me. Siamo riusciti a trasformare la più grande tragedia del nostro tempo – quella che a ragione i nostri figli studieranno a scuola come un olocausto del mare – in una farsa. Con la delegittimazione imprecisa e scoordinata delle Ong da parte di un magistrato (qualsiasi siano gli elementi che ha in mano) che lancia il sasso e litiga a mezzo stampa con i suoi colleghi. Con i politici di serie C – ministri compresi- che prendono posizione: difendono o attaccano, sulla fiducia, senza elementi, perché capiscono che bisogna gonfiare le vele del consenso con questo o quel vento. La macchina tifosa della Rete segue a ruota.
La polemica di un giorno mi stava bene, quella di una settimana mi dava prurito alla testa: oggi comincia a farmi male il cuore. Ma per fortuna ci sono le belle sorprese come l’eroico social media manager di Unicef. Leggetevi le sue risposte. E leggete questo articolo di Alberto Infelise su La Stampa che rende tutto ancora più chiaro. 

5. 1 maggio su, coraggio. Banale, ma sempre veritiero e necessario.

Detto ciò torno ai vostri racconti. Al viaggio che centinaia di voi mi hanno regalato nella vostra idea di Lieto Fine. Voglio dirvi grazie, per l’entusiasmo dimostrato, per avermi permesso di immergermi in pensieri positivi e sorridenti. Così, semplicemente.  E mentre vi leggevo – confesso – mi veniva in mente uno scritto di Bruno Munari che è il mio Buondì per oggi dedicato a voi: fatela semplice. Togliete l’inutile, andate all’essenziale e, vedrete, sarà una bella giornata. 

Complicare è facile, semplificare è difficile. Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare. Piero Angela ha detto un giorno è difficile essere facili. Per semplificare bisogna togliere, e per togliere bisogna sapere cosa togliere, come fa lo scultore quando a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’è in più della scultura che vuole fare. 

Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno una scultura bellissima, come si fa a sapere dove ci si deve fermare per togliere, senza rovinare la scultura? 
Togliere invece che aggiungere potrebbe essere la regola anche per la comunicazione visiva a due dimensioni come il disegno e la pittura, a tre come la scultura o l’architettura, a quattro dimensioni come il cinema. 
Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità. Questo processo porta fuori dal tempo e dalle mode, il teorema di Pitagora ha una data di nascita, ma per la sua essenzialità è fuori dal tempo. Potrebbe essere complicato aggiungendogli fronzoli non essenziali secondo la moda del momento, ma questo non ha alcun senso secondo i principi della comunicazione visiva relativa al fenomeno. 
Eppure la gente quando si trova di fronte a certe espressioni di semplicità o di essenzialità dice inevitabilmente questo lo so fare anch’io, intendendo di non dare valore alle cose semplici perché a quel punto diventano quasi ovvie. 
In realtà quando la gente dice quella frase intende dire che lo può Rifare, altrimenti lo avrebbe già fatto prima. 
La semplificazione è il segno dell’intelligenza, un antico detto cinese dice: quello che non si può dire in poche parole non si può dirlo neanche in molte.

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