Quando avevo nove anni ho letto Boy di Roald Dahl. Ad un certo punto il protagonista, Roald Dahl da piccolo, smette di mangiare le liquirizie perché gli viene detto che vengono fatte con il sangue di topo. Il sangue viene fatto asciugare e poi steso in grandi strisce. C’era anche un’immagine sul libro, mi sembra, queste lunghe strisce pronte per diventare liquirizie e accanto un topo. Io, ovviamente, ho smesso di mangiare liquirizie. Le goleador, quelle lunghe in pacchetti da due. Esistevano pure alla frutta e alla Coca Cola, ma quelle alla liquirizia erano le mie preferite. Ma non volevo mangiare sangue di topo. Ero talmente convinta di questo da sentirmi in colpa a non dirlo a tutti i miei amici che, ignari di tutto, continuavano a mangiare liquirizie come se niente fosse.
Ad un certo punto della vita, non so bene quanti anni dopo, ho realizzato  di aver creduto sul serio a questa cosa. Boy ha cambiato il mio modo di vedere le liquirizie, almeno per un po’.

Mia madre, come probabilmente tante altre persone prima e dopo di lei, ha cercato  di diventare ottimista dopo aver letto Pollyanna. Non so per quanto tempo ci sia riuscita, ma devo dire che ancora oggi ha inspiegabili momenti di ottimismo, quindi probabilmente un po’ ha funzionato.
Qualche anno dopo ha letto Tonio Kroger di Thomas Mann. Ad un certo punto, riferendosi a un tenente che declama dei versi che ha composto, vengono criticati tutti quelli che leggono agli altri le loro opere e si espongono. Le ho chiesto che cosa avesse imparato da questo e lei mi ha risposto, secca: ”A non espormi mai”. Credo che sia riuscita abbastanza bene anche in questo.

Alla fine di uno dei miei libri preferiti, Franny e Zooey, c’è un monologo in cui Zooey incoraggia sua sorella Franny a continuare a recitare, raccontandole di quando erano piccoli e insieme agli altri loro fratelli andavano a una trasmissione radiofonica. Io l’ho letto sull’autobus, tornando a casa, un pomeriggio d’inverno del terzo o quarto liceo, in un periodo in cui avevo smesso di andare al mio corso di teatro e non volevo  tornarci. Il giorno dopo ho ricominciato ad andare al corso. Ho chiesto a una mia amica che libri la avessero influenzata di più e tra questi ha inserito Franny e Zooey, in particolare l’ultima pagina, perché: “Ho iniziato ad apprezzare le azioni concrete delle persone che mi sono vicine per quanto insignificanti potessero sembrare”.

Alcuni libri cambiano di più, altri meno. Non so se abbia a che fare solo con la loro bellezza. Forse no. Ha a che fare con come li recepiamo noi in quel momento. Ha a che fare con quello che pensiamo quando li leggiamo, con quello che ricerchiamo dentro di loro in quel momento. Da come si infilano nelle pieghe delle nostre giornate in un particolare periodo. E poi anche, per forza, dalla loro bellezza, o almeno dalla bellezza dei passaggi che ci rimangono impressi, perché nessuno vorrebbe ricordarsi qualcosa di brutto.

Da piccola ho letto vari libri in cui i protagonisti avevano amici immaginari e quindi ho deciso di averne uno anche io. Lo facevo perché sembrava interessante. E sembrava interessante perché era scritto in un libro. Sempre nello stesso periodo mi dicevo delle frasi nella testa, raccontando quello che stavo vedendo, quello che mi accadeva, come se fosse una delle storie che leggevo.  Il metro per valutare le cose che mi succedevano era capire se potevano o no essere raccontate in un libro. Raccontare quello che accade non è solo qualcosa di passivo, legato al ricordo, è anche materiale attivo per creare del nuovo. E quindi quello che ci resta impresso dei libri sono quelle frasi che restano impresse nelle nostre giornate e le cambiano.

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