Nell’ Amazzonia brasiliana sta per cominciare il più grande progetto di riforestazione tropicale mai attuato. Nei prossimi 6 anni verranno piantati 73 milioni di alberi coprendo un’area di oltre 28mila ettari.

L’iniziativa, che sarà guidata da Conservation International e che vede la partecipazione del Ministero brasiliano dell’ambiente, del Global environment facility (Gef), della Banca mondiale, del Fondo brasiliano per la biodiversità (Funbio) e del festival Rock in Rio, mira a far tornare verde il cosiddetto “arco della deforestazione”, ovvero l’area in cui si verifica quasi la metà della deforestazione tropicale del mondo. Questa vasta zona, che attraversa gli stati brasiliani di Amazonas, Acre, Pará e Rondônia è stata oggetto di un violento disboscamento e migliaia di ettari di foresta pluviale sono stati abbattuti per fare posto a pascoli per il bestiame. La prima fase del progetto prevede di ripristinare 70mila ettari (una superficie equivalente a circa 30mila campi da calcio) di foresta.

Si tratta di un progetto di estrema importanza, dove tutto sarà controllato nei minimi dettagli per capire in che modo renderlo replicabile altrove.

«Se il mondo vuole raggiungere l’obiettivo di mantenere la temperatura globale ben al di sotto dei due gradi centigradi previsto dall’Accordo di Parigi, allora la protezione delle foreste tropicali deve essere imprescindibile – ha dichiarato M. Sanjayan, ceo di Conservation International. – Non contano solo gli alberi, ma anche che tipo di alberi, se si ha davvero intenzione di assorbire la maggiore quantità di anidride carbonica le foreste tropicali sono le più efficienti».

Il progetto infatti si basta su una tecnica di impianto locale, chiamata muvuca che in portoghese significa “tante persone in un posto molto piccolo”. La strategia muvuca prevede che i semi di più di 200 specie forestali native si diffondano su ogni metro quadrato di terra bruciata e abbandonata. I semi vengono acquistati dalla Xingu Seed Network, associazione in difesa dell’ambiente che dal 2007 fornisce sementi naturali grazie a 400 raccoglitori, molti dei quali sono donne indigene e giovani.

Naturalmente, solo alcuni di questi semi sopravviveranno, ma quel tipo di selezione naturale è fondamentale per realizzare quella che i locali chiamano “magia muvuca”. Diversi semi germineranno, lottando tra loro per i nutrienti e la luce del sole, e i più forti diventano infine grandi alberi. Secondo uno studio condotto dall’organizzazione Food and Agriculture and Bioversity International, oltre il 90% delle specie di alberi nativi piantati con questa strategia germinano e sono particolarmente resistenti, in grado di sopravvivere alla siccità, fino a sei mesi senza irrigazione.

Solo per dare un’idea, con le tradizionali tecniche di rimboschimento si ottiene una densità di circa 160 piante per ettaro mentre con la muvuca il risultato iniziale è di 2.500 specie per ettaro. E dopo 10 anni, si possono raggiungere 5.000 alberi per ettaro.

Il progetto genererà anche posti di lavoro per le popolazioni locali. In ogni ettaro, ben 2.000 abitanti lavoreranno attivamente per riutilizzare il terreno agricolo sia privato che di proprietà del governo e degli indigeni.

Un’ottima notizia che si unisce all’impresa indiana di piantare 66 milioni di alberi in 12 ore: un intenso processo di rimboschimento e di conservazione dell’ambiente, come parte degli impegni assunti al vertice di Parigi. Vince la medaglia d’oro come progetto più grande di riforestazione al mondo la Cina con il suo China’s Grain-for-Green effort, un piano in cui è previsto il recupero di ben 69.2 milioni di acri di foresta. Tipo lo stato della Pennsylvania e di New York messi insieme, tanto per capirsi.

Tutte ottime notizie che però non devono farci dimenticare che la lotta al cambiamento climatico necessita anche di soluzioni più immediate come il taglio delle emissioni industriali, così eh…per dirne una. Difendiamo le nostre foreste e la nostra aria. E poi comunque piantiamo alberi, che è sempre bello e fa sempre bene. A tutti.

 

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