In questi giorni camminavo per le strade di Roma, dentro ai negozi, nei mercati e nei musei e notavo i bambini, e origliavo alcuni commenti degli adulti tipo “sembra un piccolo uomo/piccola donna!”, una delle frasi più infelici di sempre.
Finché mi sono resa conto – e caspita, ho 33 anni – cosa per me differenzia soprattutto un bambino da un adulto: i bambini corrono, gli adulti camminano.

I bambini corrono sempre, ma non perché stanno facendo delle gare, loro corrono perché quando vedono il loro traguardo o obiettivo davanti, sono impazienti di arrivarci, proprio quell’impazienza che un attimo di più sarebbe straziante, per ogni cosa. I bambini corrono incontro alle persone a cui vogliono bene, corrono se vedono una pozzanghera per saltarci dentro, corrono verso una porta se devono oltrepassarla, corrono se gli dici: “mi vai a prendere quella cosa là sul tavolo, per favore?”.
Per gli adulti correre è circoscritto, è una volontà espressa che ha uno scopo ben preciso e che va programmata.
“Vado a correre”. Ma che frase è? Un bambino ascoltandoci penserebbe che siamo pazzi.

Quando cavolo abbiamo smesso di correre noi, a che punto della nostra vita non abbiamo più trovato irresistibile un albero, un amico, un’amica, un amore o un portone?

Perché a me nessuno ha mai detto: “Tieta, non correre!”, anzi; quindi credo di averlo deciso io a un certo punto autonomamente.

Ho pensato che forse si comincia a smettere quando si entra nell’era dei teen, ci voltiamo indietro e l’aver superato indenni l’infanzia pare già una faticaccia (perché tutti parlano di quanto sia difficoltosa l’adolescenza, ma nemmeno gli anni prima sono uno scherzo), e in quel momento si fa un salto talmente lungo in avanti, che correre è troppo.

Una tesi più scientifica è che i freni inibitori dei bambini non sono abbastanza sviluppati finché, dopo un po’, la corteccia prefrontale impara a dominare gli istinti. E l’istinto di correre si tramuta in un sorriso più luminoso o più ampio degli altri.
E poi perché quando si diventa adolescenti si ha un solo pensiero fisso in testa: QUELLO.

Ora che ho passato l’adolescenza, a volte mentre cammino, mi viene di nuovo voglia di correre, ad esempio a casa o da qualche parte dove non vedo l’ora di arrivare, e non perché sono in ritardo. Allora comincio una corsetta, ma è una corsetta che quelli che mi vedono pensano: “C’è un treno che sta partendo e questa è in ritardo”.
Invece io vorrei proprio correre a lunghe falcate, con la borsa che mi sbatacchia sulle gambe e la sciarpa che svolazza.
Non lo faccio, perché mi sentirei strana a correre senza i leggings e le scarpe da ginnastica (cosa che tra l’altro non faccio comunque).
E anche quando ci si riferisce a situazioni romantiche di ricongiungimenti col proprio partner “ci siamo corsi incontro”, si tratta al 97% di un’iperbole, e al 3% di una commedia di Hollywood.

Correre è un’azione che tutto sommato non sarebbe sconveniente, è un retaggio infantile che non ha nulla a che vedere col mettersi le dita nel naso o fare la pipì nel pannolino, dunque il mio buondì di oggi è questo: chi ha voglia, corra!

Se usciti dal vostro posto di lavoro non vedete l’ora di tornare dalla vostra famiglia, correte verso casa!
Se state andando a un appuntamento e avete le farfalle nello stomaco, correte verso il destino!
Se vedete vostro figlio che esce da scuola e vi corre incontro, corretegli incontro a vostra volta!
E se vedrete qualcun’altro che corre in abiti borghesi sul marciapiede, salutatelo e fategli l’occhiolino perché, probabilmente, è un lettore di Pollyanna.

 

 

Oppure uno scippatore.

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