Academy Awards e elezioni politiche 2018: buone visioni, acceptance speech e quote rosa

Premetto: si tratta di un articolo leggerino, un po’ disordinato, che toccherà in superficie più argomenti. Li nomino subito per rispettare tutte le regole SEO: la serata del 4 marzo in Italia, la notte degli Oscar (chiamata oltreoceano Academy Awards Night), l’intreccio tra Cultura e Politica, l’uguaglianza di genere, le quote rosa, i film di cui si sta parlando da un po’ e “da vedere” (anche solo per sostenere una media conversazione,sono quasi tutti nominati agli Academy Awards), ovviamente in versione originale, perché ho imparato ad essere una purista.

Ho molte passioni, ma in alcuni casi diventano delle vere e proprie manie. Tra queste: la notte degli Oscar. Non (solo) per il red carpet (“e guarda il vestito di questa e i capelli di quella”), non (solo) per le scommesse sui vincitori, ma più che altro per i discorsi alla consegna della statuetta. È un interesse cominciato da piccola, affascinata com’ero dal mondo hollywoodiano. Con il tempo è diventata una vera mania, tanto da estendersi ai vari acceptance speech: Golden Globes, Palma d’Oro a Cannes, Orso d’Oro alla Berlinale, European Film Awards, Bafta, Sag.

A onor del vero mi diletto anche con gli acceptance per il Nobel Prize (soprattutto per la Letteratura), e già che ci sono mi permetto di segnalare qui il sempreverde Art,Truth & Politics di Harold Pinter, visto che di politica si parla tantissimo in questi giorni pre-elettorali e elettorali, a ricordare a noi che lavoriamo nella creazione artistica che l’arte non è slegata dalla realtà e dalla politica, e a certi politici politici e ai cittadini a loro affini che la Cultura e l’Educazione sono elementi fondanti per uno Stato, per un Paese.

Tornando agli Oscar, capisco bene che tale passione per i “discorsi con la statuetta in mano” possa essere poco capita e ritenuta frivola, ma per me è una sorta di campo di indagine sull’umano degli attori, registi e gli altri professionisti del mondo del cinema.

Mi spiego. Il palco di una premiazione internazionale è un palco importante e al di là dei reciproci complimenti o dei più o meno melensi ringraziamenti, mi piace vedere che cosa si sceglie di dire. Trovo che nonostante gli schermi e le sovrastrutture (a partire proprio dai vestiti e dai brillanti che pendono ai lobi delle star) le scelte linguistiche e di parola dicano molto di noi. Mi piace vedere le scelte, e le evoluzioni. Faccio un esempio. Cate Blanchett, vincitrice come Miglior Attrice non protagonista per The Aviator di Martin Scorsese nel 2005 e vincitrice Come Miglior Attrice Protagonista per Blue Jasmine di Woody Allen nel 2014.

Ecco il primo discorso.

Ecco il secondo.

Quanta differenza. Quanta consapevolezza maggiore negli anni. Tanto da poter dire, al di là dei soliti complimenti (dovuti eh) alle altre bravissime colleghe, del fatto che è possibile fare film che abbiano come centro le donne, che “facciano guadagnare soldi” e quindi accrescere l’industria cinematografica (a Hollywood per altro proprio un’industria con la “I”maiuscola), senza però essere bollati come “semplici film per donne”. Tanto da poter accennare alla differenza di salario tra uomini e donne anche nel mondo degli attori. Tanto da riconoscere la natura effimera del premio («As random and subjective as this award is») e da parlare di teatro (in particolare del Sidney Theatre Company) in una platea di professionisti del cinema, a riconoscere la trasversalità e l’inconsistenza di alcune etichette.

Tanti acceptance speech sono stati usati come pretesto per parlare in modo critico e costruttivo di politica e di temi pressanti quali l’attenzione alla questione ambientale. Mi piace ricordare quello di Leonardo Di Caprio, finalmente Academy Award Winner pure lui e quello incredibile su Politica e Arte di Meryl Streep in occasione dei Golden Globes 2017.

Tornando all’oggi e alle donne, credo che qualcosa sia in movimento, e non solo per gli abusi di potere che il caso Weinstein ha smascherato. Già con la scorsa edizione degli Oscar, riflettendo sulle candidature femminili mi ero trovata contenta nel constatare che almeno tre dei cinque ruoli per cui le attrici erano candidate erano protagonisti assoluti delle pellicole (come anche i titoli segnalavano, JackieElleFlorence Foster Jenkins). Della serie: si può costruire un film anche solo attorno a una figura femminile, che non sia solo “figlia di”, “moglie di”, “sorella di”, un uomo. E proprio Jackie di Pablo Larraìn con il paradosso di raccontare “la moglie di” per eccellenza, la first lady degli U.S., sembra significare maggiormente la centralità della figura femminile.

E un film che sia costruito sulla centralità di un personaggio femminile non è necessariamente un film “da donne”.

Non che si debba necessariamente fare film solo di questo tipo, ma è possibile, e pure con tutti crismi. Tuttavia è studiato, documentato e attestato che in teatro, al cinema e in televisione la presenza femminile è ridotta rispetto a quella maschile e non solo, nella maggior parte dei casi è subordinata alle figure maschili. È possibile trovarne alcuni studi qui, ad esempio.

Naturalmente in questo articolo scritto per altro da me che una giornalista non sono, ma un’attrice, non c’è lo spazio per un approfondimento degno di tale definizione per un argomento così sfaccettato e complesso, ma mi piace comunque buttare un sassolino.

Credo che qualcosa sia in movimento. Soprattutto in America, dove il caso Weinstein ha ribaltato tutto, ma gli echi si sono sentiti anche in Europa. Ad esempio, la scelta di affidare la Presidenza della giuria del Festival di Cannes alla nostra amata Cate Blanchett è il segnale chiaro e forte di una presa di posizione da parte dell’istituzione francese, così come la recente proposta di Juliette Binoche non solo di stabilire delle quote rosa nell’ambito del sostegno alla realizzazione di film francesi (qui l’articolo apparso sul Corriere) ma anche compensi più equi tra uomini e donne.

In Italia non saprei dire bene a che punto siamo, e sarebbe importante capirlo attraverso studi e quindi azioni.

Devo dire che mi sono sempre schierata contro le quote rosa. Mi hanno sempre fatto sentire, e dirò qualcosa di politicamente scorretto, come un’ handicappata, una sorta di “assunzione obbligatoria”; insomma mi sembrava che la quota rosa definisse la donna come “una che ha meno, minus habens”. E l’orgoglio per il genere femminile mi ha sempre fatto affermare che sarebbe bastata la meritocrazia. Ultimamente, osservando la vita quotidiana, e trovandomi per lavoro e per diletto a fare alcune letture e parlando con gli amici e le amiche (cosa fondamentale) ho un po’ modificato la mia visione. La donna e l’uomo sono portatori di differenze e queste differenze sono sacrosante e benedette, uso questi aggettivi visto che siamo un paese dove il Cattolicesimo conta eccome, pure troppo. Tuttavia la donna solo recentemente nella storia ha acquistato gli stessi diritti degli uomini. “È ancora precaria dei diritti, insomma”. Uso parole ben più illustri delle mie, quelle di Elena Ferrante ne La frantumaglia:

Io considero noi tutte, di qualsiasi età, ancora nel pieno della battaglia. Il conflitto durerà a lungo. Anche se pensiamo di esserci lasciate alle spalle la società, la cultura, e il linguaggio patriarcale, basta guardare il mondo nel suo insieme per capire che quel conflitto è ben lontano dalla fine e che tutto ciò che abbiamo conquistato può essere di nuovo perso

Osservo la realtà, anche solo la mia, che pure sono piuttosto privilegiata, e credo che sia vero. E quindi, forse, cominciare da una quota rosa può non essere del tutto sbagliato. Sperando non ce ne sia più bisogno in futuro.

E così dopo il red carpet le mie simpatie andranno domani sera a Greta Gerwig, fantastica, eclettica competente unica donna a competere nella categoria di Migliore Regia per Lady Bird e a Rachel Morrison, in lizza per la Migliore Fotografia di Mudboundprima donna in assoluto ad essere candidata per la fotografia (per la cronaca la Morrison firma la fotografia di  Black Panther Marvel, roba da donne appunto!).

(Rachel Morrison)

Tra le Attrici Protagoniste non so davvero chi scegliere, tra gli Attori Protagonisti e non, i miei beniamini sono Daniel Day Lewis (forse alla sua ultima interpretazione con Phantom Thread di Paul Thomas Anderson, e speriamo si smentisca), Tymothée Chalamet, giovane, bravissimo con una faccia pazzesca, per Call me by your name di Luca Guadagnino e direi che faccio pure il tifo per Willem Defoe in The Florida project che pure non ho ancora visto.

Per la buona visione segnalo velocemente:

  • Three billboards outside Ebbing, Missouri (per gli incredibili Frances Mac Dormand e Woody Harrelson e per il soggetto)
  • Lady Bird (per le due attrici, madre e figlia -sia Saoirse Ronan che Laurie Metcalf sono candidate alla statuetta nelle due categorie per le attrici-, per la scrittura, per la delicatezza e insieme il senso acre della fine adolescenza e dei suoi progetti sulla vita futura, e per il montaggio)
  • Phantom Thread (per Daniel Day Lewis, per i suoi calzini vinaccia)
  • On Body and Soul , candidato per il Miglior Film Straniero (per il soggetto, le scene con i cervi, le scene del macello e alcune meravigliosi shot, poetici e secchi al tempo stesso)
  • Call me by your name (per la bella bella scena finale e l’istintualità d’attore preziosa di Thymothée Chalamet),
  • The shape of water (per la fotografia, la presenza dell’acqua, la liquidità, la fantasia, l’uomo pesce, l’ironia, e per l’essere così omaggio della “macchina dei sogni”; per Sally Hawkins, anche lei candidata come Miglior Attrice). Vincitore del Leone d’Oro a Venezia nel 2017.
  • Coco, perché sì.
  • Suggerisco, sulla fiducia e sulle impressioni, senza purtroppo averli ancora visti, The Florida Project e I, TonyaMargot Robbie rischia di vincere come Miglior Attrice, per la cronaca.

Vorrei concludere con una chicca di Papa Francesco apparsa ieri sul Corriere: “Basta maschilismo nella Chiesa”Isn’t it ironic?

Buona notte degli Oscar e buon voto e buona maratona post elettorale a tutti.

Io mi alternerò tra l’ascoltare discorsi di ringraziamento di attori e attrici elegantissimi (le attrici tutte in nero, dopo Weinstein) e le considerazioni sulle sorti del nostro amato ma malandato Paese. Sarò retorica, ma sperando di poterlo fare andare meglio, con grande impegno.

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